Il periodo che stiamo vivendo è una condizione inedita e di assoluta emergenza. In questo particolare momento parlare di fibromialgia, potrebbe apparire come un’azione controproducente. Anche se il momento non è propizio, parlare di questa Sindrome è fondamentale, dal momento che le persone che ne soffrono, vedono la propria esperienza di sofferenza nella maggior parte dei casi delegittimata. Questa è una costante emersa in tutte le testimonianze, che nel corso degli anni si è evidenziata parlando con le persone che ne sono colpite (tutte donne nella maggior parte dei casi). La questione di genere, o meglio, degli stereotipi di genere nella fibromialgia, è cruciale; è diventata una consuetudine ascoltare persone che affermano di essere state considerate delle depresse, ipocondriache, catastrofiste o semplicemente, proprio perché donne, troppo sensibili e vulnerabili, quindi predisposte all’insorgere della malattia. Vederla finalmente riconosciuta come malattia reale, non immaginaria, come una patologia che attualmente colpisce una fetta sempre più crescente della popolazione italiana, è la nostra aspettativa. Non dimentichiamo però che, spesso si è rischiato di sottovalutare l’impatto disabilitante della malattia, e più volte hanno cercato di correlare la Sindrome fibromialgica con disturbi psicologici e dell’umore, inquadrandola nel meccanismo di causa/effetto che vede nei disturbi psicologici/psichiatrici, l’origine della Sindrome. Questo modo di inquadrare la questione è completamente in antitesi con chi quotidianamente deve fare i conti con la fibromialgia subendo i disturbi dell’umore, come una conseguenza della convivenza quotidiana con la malattia. Anche perché tali discorsi tendono a non riconoscere l’esistenza di un dolore fisico, reale e cronico. Allora penso sia arrivato il tempo di ottenere da parte delle istituzioni e della società, la solidarietà e la sensibilità che merita questa Sindrome, concretizzando e finalizzando i provvedimenti necessari per appianare gli squilibri esistenti nei confronti dei cosiddetti: “malati invisibili”.